Il Fiume morto: La Cruda Realtà dell'Industria Tessile

In Bangladesh, il Buriganga è diventato tristemente noto come il "fiume morto", soffocato dall'inquinamento tessile e industriale. Questo fiume, che un tempo era indispensabile e ricco di vita, è stato trasformato in un corso d'acqua nero e maleodorante a causa della cattiva gestione delle acque reflue e dell'espansione dell'industria del fast fashon. Ora, i pesci sono scomparsi e i pescatori lamentano il cambiamento irreversibile del loro ambiente.

Il Flagello del Fast Fashion: Il Fiume di Spazzatura del Bangladesh

Questo video sconvolgente ha messo in luce la devastazione causata da queste industrie multimiliardarie, dove i rifiuti tessili e plastici formano cumuli giganteschi, sostituendo l’acqua che un tempo fluiva tra gli edifici. Marchi famosi come Adidas, Zara e Nike sono implicati in questa catastrofe ambientale, mentre il 73% dei vestiti importati negli Stati Uniti proviene dall’Asia, alimentando la crescita dell’industria tessile in Bangladesh.

Le conseguenze della dipendenza dal Fast Fashion

Questo fiume di inquinamento rappresenta le oscure conseguenze della nostra dipendenza dal fast fashion. Mentre la domanda di vestiti economici aumenta, cresce anche il consumo di energia, lo spargimento di microfibre e di sostanze chimiche nocive nelle acque reflue, minacciando la vita umana e animale. L’inquinamento tessile, inoltre, supera l’inquinamento combinato dell’industria aeronautica e navale in termini di emissioni di anidride carbonica, come evidenziato dal parlamento europeo nel suo articolo intitolato L’impatto della produzione e dei rifiuti tessili sull’ambiente”.

Quest’ultimo ha evidenziato che “Si stima che la produzione tessile sia responsabile di circa il 20% dell’inquinamento globale dell’acqua potabile a causa dei vari processi a cui i prodotti vanno incontro, come la tintura e la finitura, e che il lavaggio di capi sintetici rilasci ogni anno 0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei mari.

La situazione in Bangladesh è critica: nonostante esistano normative, la loro applicazione è inconsistente. Gli impianti di trattamento non riescono a rimuovere adeguatamente le microplastiche, mentre tonnellate di rifiuti solidi finiscono direttamente negli habitat naturali, rendendo l’acqua inadatta al consumo umano e animale.

Dati ambigui e poco trasparenti

Molti esperti di settore provano costantemente  a quantificare la produzione di queste industrie del fast fashon ma non si riescono a trovare dati concreti in merito. 

Uno studio condotto dal The Guardian ci spiega però che “i capi d’abbigliamento prodotti da questi colossi oscilla annualmente tra  gli 80 miliardi e i 150 miliardi di indumenti dei quali tra i 6 miliardi e gli 80 miliardi rimangono invenduti.” 

Nessuno sa esattamente però quanti cappotti, jeans, magliette e scarpe da ginnastica vengono prodotti ogni anno, il che significa che nessuno sa quanti capi rimangono invenduti nei magazzini e sono destinati alla discarica o alla distruzione. Senza queste informazioni, cercare di ridurre l’impronta di carbonio dell’industria della moda è un po’ come cercare di risolvere un puzzle al buio

La disinformazione: un alleato delle emissioni

Vox denuncia uno dei maggiori problemi che affligge il settore tessile: la disinformazione. Non si tratta di mere fake news ma più di una cattiva informazione, spesso incompleta e fuorviante, basata su statistiche discutibili e fonti di studio poco trasparenti. Questo porta a una mancanza di chiarezza nel quadro entro cui richiedere nuove legislazioni o adottare azioni concrete per proteggere l’ambiente.

La strategia dell’UE per limitare i danni del fast fashon

L’Unione Europea sta cercando di porre rimedio a queste situazioni catastrofiche. La strategia dell’UE per un tessile sostenibile e circolare ha quindi l’obiettivo di trasformare il settore in un ambito più ecologico e competitivo. Questa iniziativa si pone l’obiettivo di affrontare la produzione e il consumo di prodotti tessili, riconoscendo l’importanza di questo settore e attuando gli impegni del Green Deal europeo, del piano d’azione per l’economia circolare e della strategia industriale europea.

L'importanza della strategia

I tessili permeano la vita quotidiana in molteplici forme, dall’abbigliamento ai mobili, dalle attrezzature mediche e protettive agli edifici e ai veicoli. Tuttavia, l’impatto ambientale dei tessili continua a crescere, con conseguenze significative per il cambiamento climatico, per i nostri ambienti e per l’uso delle risorse naturali, come abbiamo visto con il caso dei fiumi in Bangladesh. La strategia si propone di esaminare l’intero ciclo di vita dei prodotti tessili e di adottare azioni coordinate per promuovere una produzione e un consumo più sostenibili.

Obiettivi della strategia

La visione 2030 della Commissione per il settore tessile mira a garantire che tutti i prodotti tessili immessi sul mercato dell’UE siano durevoli, riparabili e riciclabili, realizzati principalmente con fibre riciclate e privi di sostanze pericolose. Inoltre, si punta a promuovere l’adozione di tessuti di alta qualità a prezzi accessibili, il proliferare di servizi di riutilizzo e riparazione, e la responsabilizzazione del settore tessile verso pratiche più sostenibili.

La strategia prevede una serie di azioni concrete, tra cui l’istituzione di requisiti di progettazione per i tessuti che favoriscano la durabilità e il riciclo, l’introduzione di informazioni chiare attraverso un passaporto digitale per i prodotti tessili, e il contrasto alla sovrapproduzione e al consumo eccessivo. Si promuovono inoltre modelli di business circolari e si incoraggiano gli Stati membri a sostenere gli obiettivi della strategia.

Per garantire l’attuazione della strategia, sono stati proposti regolamenti e direttive mirati, come il regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili e le direttive Empowering Consumers in the Green Transition e Green Claims. Inoltre, sono state lanciate campagne di sensibilizzazione, come “Reset the Trend” (#ReFashionNow), e sono stati avviati piani per aggiornare e rivedere regolamenti esistenti sull’etichettatura dei tessili e sulla gestione dei rifiuti.

Basterà tutto questo?

Se è vero che tutte queste iniziative verranno messe in atto, una domanda sorge spontanea: Basteranno tali precauzioni per porre rimedio al problema del fast fashion? nelle diverse soluzioni proposte dall’UE non si legge di un’iniziativa per la gestione dei rifiuti prodotti da questi colossi industriali, sarà perchè una soluzione esiste già? oppure è un problema che, secondo le istituzioni, non ci riguarda direttamente?

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